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Perù
Gen 2023

Gli invisibili vogliono un nuovo Perù

Il numero dei morti è arrivato a 54. Poi ci sono i feriti, gli arresti, le perdite economiche, con strade bloccate e gravi violazioni dei diritti umani.
È questo il drammatico bilancio delle proteste antigovernative che hanno preso piede in Perù a partire dal 7 dicembre scorso. Nonostante i violenti scontri con le forze dell’ordine abbiano raggiunto la capitale con la cosiddetta “Presa di Lima”, il maggior numero di vittime si conta nella regione di Puno, là dove storicamente si sono svolti gran parte dei progetti di cooperazione della nostra Ong.
La repressione è feroce e il ministero dell’Interno ha chiesto ai manifestanti di “abbandonare la violenza”, ma il popolo è determinato nel pretendere le dimissioni di Boluarte e nuove elezioni.
Il Perù sta vivendo una delle crisi più tragiche della sua storia repubblicana. Il tentativo di “autogolpe” del presidente Castillo poco prima che venisse messa ai voti, per la terza volta in poco più di un anno di governo, la sua destituzione per “incapacità morale” da parte del Congresso di centrodestra, ha portato a una votazione maggioritaria per mettere fine al suo effimero mandato.
La destituzione, seguita dall’arresto, ha provocato una reazione immediata e spontanea da parte dei suoi sostenitori, soprattutto nelle regioni del Sud andino, forte base elettorale di Castillo.
L’escalation di violenza si è poi diffusa abbandonando la difesa del poco difendibile ex presidente, reo di innumerevoli errori politici oltre che di precoci operazioni a odore di corruzione. Hanno iniziato a farsi sentire gli invisibili, gli scartati, gli esclusi, tutta quella parte di popolazione delusa da una Repubblica che non ha mantenuto la vera promessa dell’emancipazione coloniale.

“La crisi attuale rappresenta l’esplosione di un vulcano che per secoli stava covando magma di indignazione, alimentata da strutturali forme di discriminazione”, evidenzia il presidente di Progettomondo, Mario Mancini, che da qualche giorno è sbarcato in Perù. “L’ultima campagna elettorale ha esplicitato in maniera impudica le profonde diseguaglianze avvallate tra il mondo creolo, agganciato al treno del capitalismo e dello sviluppo, e quello andino, indigeno, meticcio, tenuto ai margini. Pure le dinamiche di scalata sociale hanno l’aria di essere state date per concessione, piuttosto che per diritto”.
Negli ultimi 20 anni il Perù ha fatto un salto in avanti nella crescita macroeconomica, in termini di PIL, tanto da essere divenuto un Paese di reddito medio. Gli importanti risultati nella riduzione della povertà, dovuti a un’economia del gocciolamento, in Perù definita “goteo”, hanno però aumentato la distanza tra Lima, le grandi città della costa, e le aree andine e amazzoniche. Ciò ha comportato un permanente flusso migratorio di persone, attirate proprio da quel percolato lasciato dai settori economici trainanti e dalle classi abbienti.
Paradossalmente, o forse naturalmente, la maggiore crescita del Paese, avvenuta senza un corrispondente avanzamento delle condizioni di vita e opportunità, e quindi nella frustrazione delle popolazioni andine e rurali, ha alimentato l’indignazione popolare contro la classe politica corrotta e la società moderna che maltratta e discrimina. I diffusi e permanenti conflitti sociali in aree di sfruttamento di miniere e altre risorse naturali, che da anni esprimono un conflitto tra due modelli produttivi e culturali antitetici, rappresentano un altro settore in cui la contraddizione si esplicita in maniera violenta e senza possibilità di dialogo.
La divisione in due mondi la si è vista chiaramente fin dalla mappa elettorale che ha portato all’elezione del presidente Humala nel 2011. La scissione si è manifestata netta tra Lima e le grandi città della costa, in maggioranza per candidati di destra, e il resto del Paese, con solide maggioranze nel sud andino, per candidati anti sistema. Purtroppo, la fragilità del sistema politico peruviano, praticamente annientato da anni di crisi politica, fallimenti economici, corruzione diffusa e il terrorismo di Sendero Luminoso, ha dato spazio solo a leader improvvisati, che creano cartelli elettorali per andare al potere, e si giocano volta per volta la presidenza e maggioranza.
Il risultato è una frammentazione fatta di presidenti indagati, incarcerati o destituiti, che ha portato alla disaffezione, se non a un vero e proprio disprezzo della popolazione verso la politica.
La destituzione di Castillo non è quindi che l’ennesimo colpo al tentativo di affermare una voce di protesta verso un modello che non ha compreso il malessere, possiamo dire storico, di questa parte importante del Paese.
I manifestanti chiedono tre cose: le dimissioni della presidente in carica Boluarte, elezioni anticipate il prima possibile e un referendum per una nuova Costituzione.
Sorprende, ed è una novità assoluta tra tutti i sollevamenti popolari, la mancanza di una regia, di un coordinamento. Non esistendo leader, rappresentanti, e nemmeno un’organizzazione. Molti gruppi tentano di strumentalizzare la sollevazione, ma la vera forza di questo movimento è l’assoluta spontaneità. Una spontaneità che, d’altro canto, rappresenta pure una grande debolezza, perché non comporta un vero progetto politico.
Il Perù è un Paese ricchissimo di risorse naturali, di cultura, di storia, di persone che hanno saputo e sono capaci di gesta sorprendenti, di capacità di adattamento inconcepibili, ma che non è ancora riuscito a essere un Paese solo. Non può esserci uno Stato senza popolo e un popolo senza Stato”.

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