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Pace e diritti
Africa
Ott 2025

Marocco: Si alza la voce della Gen Z, ma è una rivendicazione globale

Da giorni il Marocco è attraversato da un’ondata di proteste giovanili che sta attirando le attenzioni locali e internazionali. Le manifestazioni, iniziate a fine settembre, sono state promosse principalmente da giovani marocchini e marocchine – per lo più under 25 – che, attraverso social network come TikTok, Instagram e Discord, hanno dato vita a una mobilitazione spontanea e decentralizzata. Il nome con cui si riconoscono è “GenZ 212“, facendo riferimento sia alla generazione a cui appartengono, sia al prefisso telefonico del Marocco.

Al centro delle proteste ci sono richieste che toccano nodi cruciali del sistema sociale marocchino: sanità pubblica, istruzione, accesso ai servizi di base, disoccupazione giovanile e trasparenza istituzionale. La miccia che ha acceso la rabbia collettiva è partita dall’ospedale pubblico Hassan II di Agadir, dove otto donne incinte sono morte durante un parto cesareo a metà settembre a causa di gravi carenze strutturali, tra cui mancanza di anestesia e personale specializzato. Da quel momento, le piazze si sono riempite in diverse città del Paese: Rabat, Sale, Casablanca, Marrakech, Agadir, Oujda, Tangier sono solo quelle principali, ma le manifestazioni sono state capillari e hanno toccato tutte le regioni, compresa quella di Béni Mellal. Dal 27 settembre, le proteste si susseguono ogni giorno.

I giovani denunciano condizioni che ritengono inaccettabili: ospedali con attrezzature obsolete, classi scolastiche sovraffollate, università senza fondi, carenza di medici e insegnanti. Ma il malcontento non si limita ai servizi pubblici. In molti striscioni e interventi raccolti sui social si leggono critiche aperte all’allocazione delle risorse statali: mentre si investe in grandi infrastrutture per eventi sportivi internazionali, come la Coppa del Mondo 2030, le scuole e gli ospedali versano in condizioni drammatiche. Uno degli slogan più ricorrenti nelle manifestazioni è diventato: “Vogliamo scuole e ospedali, non stadi“.

Le proteste, svolte in maniera pacifica, hanno fatto i conti con una forte repressione da parte della polizia e in alcune aree – come Lqliâa e Sidi Yahya – si sono registrati scontri violenti con le forze dell’ordine, almeno tre persone hanno perso la vita e centinaia sono rimaste ferite. Le autorità marocchine hanno risposto con una presenza massiccia sul territorio e diverse organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International, hanno denunciato l’uso eccessivo della forza e arresti arbitrari (piu di 400 in pochi giorni), in alcuni casi anche di minorenni. Le foto di giovani arrestati e detenuti sono diventate virali e un simbolo di una generazione che è disposta a rischiare per far sentire la propria voce.

Il governo, dal canto suo, ha ammesso che esistono delle criticità nei servizi pubblici, ma ha anche difeso le proprie scelte economiche affermando che gli investimenti infrastrutturali sono parte di un progetto più ampio di sviluppo del Paese. Tuttavia, molti giovani ritengono insufficienti queste risposte e chiedono azioni concrete e trasparenti.

Il fenomeno non è isolato. Proteste simili si stanno verificando in altri Paesi, come il Nepal, dove giovani studenti e studentesse, attiviste e attivisi, si organizzano online per chiedere maggiore trasparenza e diritti fondamentali. Anche in altri contesti come in Madagascar, la Gen Z si è mobilitata contro un sistema percepito precario, denunciando lo scarso accesso ad acque ed elettricità anche nella capitale. In tutti questi casi emergono elementi in comune: da un lato l’uso dei social media come strumento centrale nell’organizzazione e nella diffusione delle proteste; dall’altro, la risposta repressiva da parte delle forze dell’ordine. Piattaforme nate per l’intrattenimento infatti sono oggi strumenti di coordinamento politico, denuncia sociale e costruzione identitaria per una generazione sempre più consapevole e determinata.

I giovani chiedono di essere ascoltati, di avere accesso a servizi dignitosi, e di vedere riconosciuto il loro ruolo come cittadini e cittadine a pieno titolo. Le proteste in corso pongono dunque interrogativi profondi sul rapporto tra Stato e nuove generazioni, su come costruire una governance più inclusiva e trasparente che metta al primo posto le persone e la loro dignità, in un Paese dove le disuguaglianze economiche tra città e zone periurbane e rurali sono altissime.

Le contestazioni continuano e il dibattito pubblico si intensifica. Le voci della Gen Z – spesso considerate marginali o disinteressate alla politica – stanno dimostrando di avere un peso crescente nello spazio pubblico. La loro mobilitazione non è solo una richiesta di servizi migliori, ma anche un richiamo nazionale e internazionale alla giustizia sociale. Ciò che accade oggi in Marocco parla anche ad altri contesti: queste sono le rivendicazioni di una generazione globale che chiede l’attenzione immediata delle istutuzioni, che fa luce su quello che non funziona e che non può piu essere tollerato: non vuole quindi solo essere ascoltata, ma essere parte attiva nei processi decisionali.

Elisa Fratini

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