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Italia
Apr 2025

Narrative Change, le parole danno forma alla realtà

Lavorare su come comunicare temi complessi quali le migrazioni significa incidere non solo a livello comunicativo ed educativo, ma anche sociale e politico, significa contribuire a società basate sul rispetto e la giustizia sociale.
Se ne è parlato alla Provianda di Verona, alla Festa d’Aprile, in un evento promosso da Progettomondo nell’ambito del progetto “TUAS, Tutta un’Altra Storia – Nuove cornici narrative contro la discriminazione e l’odio” finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo.
Il presupposto è che le storie che vengono raccontate, e le parole che vengono usate nel farlo, danno forma alla realtà.

“Stiamo veicolando l’approccio del Narrative Change per affermare una comunicazione capace di aprire spazi di dialogo con il centro fluido, o il pubblico scettico, quella parte di cittadinanza che magari su alcuni fenomeni non è informata ma esprime grande preoccupazione”, evidenzia Simohammed Kaabour, del Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane (CoNNGI), uno dei 5 esperti di Narrative Change in Italia. “L’obiettivo è non subire la narrazione di opposizione e polarizzazione, ma cercare il giusto spazio per veicolare messaggi e trovare valori comuni anche con chi potrebbe essere oppositivo verso un certo fenomeno. Lo sforzo, anzitutto personale, è di comprendere le motivazioni dell’altro perché ciò diventi il cuneo di apertura del dialogo. È necessario più che mai farlo in un momento storico in cui stiamo assistendo al ritorno nel lessico di parole che erano quasi sparite, come invasione o clandestinità, che soffiano su certi fenomeni e non concedono alla cittadinanza di comprendere, ma puntano a creare posizioni polarizzate”.
La definizione di “seconde generazioni” per riferirsi a chi è nato in Italia da genitori con un back ground migratorio o comunque vi è arrivato in età prescolare, non si mostra più sufficiente e, spiega Kaabour, lascia il campo al temine “nuove generazioni italiane“, “ben più adeguato a raccontare la storia di chi nasce in questo Paese, che va definito italiano senza che per questo debba rinunciare alle sue origini”.

“Dobbiamo essere attive e attivi tutti, nella vita di tutti i giorni, perché l’attivismo non deve essere visto come qualcosa di distante, complesso, ma si concretizza anche chiacchierando a tavola”, fa notare la divulgatrice e autrice, Nogaye Ndyaye. “Quando parlo della mia storia ci tengo a sottolineare che quello che è successo nella mia vita, come in quella di tante persone, ovvero essere oggetto di razzismo e discriminazione, non deve essere strumentalizzato per continuare sempre e solo a raccontare storie piene di trauma che avvallano quella che viene definita pornografia del dolore. Abbiamo bisogno di ascoltare tante altre storie, di autodeterminazione, per divenire soggetto della narrazione e trasformare la visione collettiva negativa, che non restituisce dignità ma si basa su stereotipi e luoghi comuni. Un proverbio africano dice che non potremo mai sentire la versione del leone finché la storia sarà raccontata solo dal punto di vista del cacciatore.  Abbiamo bisogno di più prospettive, di cercare altre storie”.

“È fondamentale che anche i media utilizzino termini giusti e rispettosi, specie quando si parla di temi complessi come le migrazioni”, commenta Laura Loguercio, giornalista de Il Post. “È facile trasmettere messaggi sbagliati, specie a fronte di un sistema di leggi che regolano la migrazione in Italia e che sono estremamente complesse e non facili da trasmettere in maniera semplice. Non per questo bisogna cedere a facili semplificazioni ma ricordarsi che dietro i numeri e i dati ci sono persone che hanno una loro storia e un futuro in costruzione”.

Liridona Rexha del Movimento Italiani Senza Cittadinanza lancia un appello chiaro: votare sì al referendum sulla cittadinanza che si svolgerà l’8 e il 9 giugno e che, tra i vari punti, ha quello di ridurre da 10 a 5 anni di residenza legale ininterrotta in Italia per i cittadini e cittadine extra UE, per poter presentare la domanda di concessione della cittadinanza italiana.
“Sono in Italia da quando avevo 11, e sono cresciuta serenamente. Il trauma l’ho avuto quando, uscendo dalle superiori, ho intrapreso la domanda di cittadinanza”, racconta. “Non ho potuto partecipare ai progetti Erasmus, non ho potuto votare fino a 31 anni né partecipare a concorsi pubblici. Quando ho avuto la mia prima figlia ero ancora senza cittadinanza e insieme alla burocrazia italiana ho dovuto fare i conti anche con quella albanese, che non conoscevo. Anche sentirmi dire albanese all’inizio mi dava i brividi, pensavo contenesse pregiudizi nascosti. All’inizio si cerca solo di essere accolti, poi subentrano gli interrogativi su chi si è, e alla fine, ed è fondamentale, ci si riconosce, si impara che ci sono parole che hanno significati reali e corretti, al di là delle connotazioni negative di cui si cerca di caricarle”.

Conclude la responsabile dell’ufficio educazione di Progettomondo, Rossella Lomuscio: “L’approccio del Narrative Change ci ricorda quanto, oggi, in un contesto geopolitico tanto conflittuale e polarizzato, sia fondamentale impegnarsi attivamente per favorire la giustizia sociale e contrastare la presa di estremismi ideologici, riportando la narrazione nella sfera del reale, senza la lente distorta di pregiudizi e strumentalizzazioni, ma con uno sguardo attento e aderente alla verità di fenomeni complessi”.

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